La malasanità Calabria: 5 ospedali in 30 km e niente p.s.

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La malasanità Calabria: 5 ospedali in 30 km e niente p.s.

Messaggiodi Aragorn il 26 lug 2010, 12:11

Catanzaro - Da tre a cinque ospedali chiuderanno in Calabria. E il prossimo anno la spesa per farmaci, personale, strutture e forniture dovrà ridursi di almeno 150 milioni di euro. È l’ennesimo tentativo di risanare il disastro sanitario della regione. Ci provano da più legislature, ma la catena inarrestabile di morti, scandali e sprechi dice chiaramente che il tentativo è sempre miseramente fallito.

Sembra incredibile, eppure ancora non c’è nemmeno l’importo esatto del disavanzo. Una prima stima lo dava a 2 miliardi e 166 milioni, ora ammonterebbe a 870 milioni, però manca il conteggio di due aziende sanitarie. Le nuove misure antideficit, il governatore Scopelliti le ha snocciolate nell’aula del Consiglio regionale la scorsa settimana: «Spendiamo 238 milioni di euro solo per chi va a curarsi fuori. Mettere mano alla sanità calabrese – ha detto Scopelliti – significa rivedere innanzitutto la rete ospedaliera. Ci sono strutture fotocopia ovunque, venti ospedali con meno di cento posti-letto e tra questi, undici a rischio sicurezza». Ma in questa regione ci sono tanti ospedali fantasma: nella sola piana di Gioia Tauro, in 30 chilometri ci sono sei nosocomi: Palmi, Gioia Tauro, Taurianova, Cittanova, Rosarno, Oppido Mamertina, ma per le urgenze bisogna andare a Polistena.

Il paradosso è rappresentato dalla struttura di Rosarno, che insieme a quelle di Gerace, Pizzo, Cassano e Scalea, benché siano stati spesi centinaia di migliaia di euro non è mai entrata in funzione. Addirittura quello di Scalea, costruito per la prima volta 40 anni fa, mai aperto, è stato ristrutturato cinque anni fa, e ora funziona solamente come poliambulatorio, nonostante all’interno fossero già pronte sale operatorie e laboratori per esami di ultima generazione. Ma che dire dell’ospedale di Gioia Tauro, dove esiste un reparto di chirurgia d’urgenza, che però non effettua le urgenze, e quindi gli utenti della zona devono rivolgersi al pronto soccorso di Polistena, 30 chilometri, nella zona interna dell’Aspromonte. Ospedali in cui si rischia la vita. Per capire lo sfacelo basta andare ad Amendolara, nell’alto jonio cosentino, dove c’è una mamma di 27 anni che si è salvata con cinque trasfusioni di sangue e ancora piange disperata la sua bimba morta subito dopo il parto cesareo. La donna si presenta al nosocomio di Trebisacce con forti dolori addominali. I medici capiscono che c’è un distacco della placenta e bisogna operare subito. Il reparto di Ostetricia, però, l’hanno chiuso i Nas un anno fa perché cadeva a pezzi, è cosi è rimasto. Peraltro quel giorno non c’e nemmeno un’ambulanza libera. Allora marito e cognato caricano nuovamente la donna in macchina e impiegano un’altra ora per andare a Rossano. Un’ora e passa, troppo il tempo sprecato, la madre si salva la bimba muore. Era già successo, tre anni fa, anche a Polistena. Flavio Scutellà, dodici anni, doveva essere operato d’urgenza per un ematoma alla testa che si era procurato cadendo dall’altalena. Ma a Polistena non c’erano neurochirurghi e neanche un’ambulanza disponibile. Alla fine Flavio arrivo ai «Riuniti» di Reggio Calabria ben sette ore dopo la caduta. Troppo tardi.

Il tributo più alto per la pessima gestione della sanità l’hanno pagato proprio i giovani: Flavio, Andrea Bonanno morto per un’ingessatura troppo stretta, Eva Ruscio per una tracheotomia sbagliata, Sara Sarti rimandata a casa con fortissimi dolori addominali da un medico che lavorava in Pediatria a Locri senza che ne avesse i titoli e Federica Monteleone, morta per un black-out elettrico mentre veniva operata di appendicite. È un micidiale mix di incompetenza, cattiva gestione, degrado strutturale, disorganizzazione amministrativa e infiltrazioni mafiose quello che stritola gli ospedali calabresi, 37 pubblici, 36 privati per un totale di 8874 posti letto. Ma chiudere un nosocomio in Calabria è un’impresa titanica. Per decenni niente è stato più facile del trovare un posto di lavoro in ospedale per migliaia di calabresi. ‘Ndrangheta e politica hanno fatto da efficientissimo ufficio di collocamento per i per propri protetti. Francesco Macrì, meglio noto come don Ciccio Mazzetta, ex sindaco e presidente della Usl di Taurinova, fece assumere più di mille persone. Negli ospedali della Piana, i dipendenti sono 1.758 per 234 posti letto: 7,5 a letto, contro una media nazionale di 2,9. A Gioia Tauro, in ospedale ci sono 26 cuochi, anche se i pasti li porta una ditta esterna. Nell’Ospedale di Vibo Valentia, per 200 letti, lavorano ben 115 medici, 220 infermieri, 16 ausiliari e 10 tecnici. Ospedali imbottiti di personale che, il più delle volte, non sa neanche come passare il tempo, mentre la spesa regionale cresce a dismisura.

© il giornale


«Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,

le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona.»

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Re: La malasanità Calabria: 5 ospedali in 30 km e niente p.s.

Messaggiodi patrix78 il 27 lug 2010, 20:46

La ‘ndrangheta nella sanità calabrese. Ma nessuno dice perchè la Moratti assunse Carmelina, l’assessore cacciata da Locri

Da un inchiesta del Giornale sulla malasanità calabrese è emerso un quadro drammatico sul rapporto tra sanità, politica e ‘ndrangheta. Tutto è cominciato con l’omicidio a Locri di Francesco Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale, che ha portato al disvelamento degli interessi dietro l’Asl di Locri, ed alla scoperta dello stato di collasso dell’intero sistema sanitario calabrese.

Vedremo di seguito l’accurata ricostruzione di rapporti malavitosi, lo sperpero di denaro pubblico a vantaggio di organizzazioni criminali, appalti pilotati, assunzioni senza merito. Insomma il verminaio che svuota le casse pubbliche e governa con tracotanza una fetta importante del sud d’Italia. Ma, proprio in relazione alle conoscenze acquisite, in special modo a partire dallo scioglimento del comune di Locri, stupisce che nessuno tiri alcune inevitabili conseguenze.

Per esempio: perché il Giornale non chiede al sindaco Moratti il motivo per cui pagava 200 mila euro a Carmela Madaffari in qualità di dirigente dell’assessorato alla famiglia? Non sa che Carmelina era stata rimossa proprio per la sua gestione disinvolta della sanità a Locri? Non conosceva Il Giornale le denunce di Fortugno (che dalla ‘ndrangheta è stato ucciso) su specifiche di Carmelina? E non sa che anche la Corte dei Conti ha stigmatizzato una nomina, quella della Moratti, che non ha tenuto conto dei “gravi infortuni professionali che caratterizzavano la designata”?

Lo scioglimento per infiltrazioni mafiose dell’azienda sanitaria, seguito all’omicidio di Locri, ha portato alla formazione dell’Asp 5, un accorpamento delle aziende sanitarie di Reggio Calabria, Locri e Palmi, ed i commissari straordinari incaricati di dirigere l’Asp 5 si sono trovati davanti ad un debito di 500 milioni di euro, ed a valutare strutture amministrative senza regole e spese senza controllo. Dall’inchiesta è inoltre emerso che la spesa pro capite della regione Calabria ammonta a 3.110,2 euro, dato che la colloca al secondo posto nella classica delle uscite per la sanità, e che vale tre volte quella della regione Veneto.

Altro dato sconcertante sono i 3600 dipendenti della Asp 5 di Reggio Calabria, numero oggetto di un’operazione di risanamento iniziata circa due anni fa, e poi fortemente ostacolata dalle pressioni interne e dalle infiltrazioni dell’ndrangheta. Di questi dipendenti colpisce l’alto numero di persone imparentate con la ‘ndrangheta, che emerse dopo l’insediamento della Commissione d’accesso, e che scoprì il coinvolgimento o la parentela con l’associazione malavitosa di 13 medici, 29 infermieri, 18 tecnici e 23 addetti alle pulizie.

Tra questi spicca il nome di Giorgio Ruggia, vicino ai Cordì, che sebbene condannato a tre anni e 8 mesi e all’interdizione dagli uffici pubblici fu prontamente riammesso al servizio tramite delibera del direttore generale, ma sono tanti i casi di detenuti che hanno continuato per anni a ricevere regolarmente lo stipendio, e tante sono le risorse, ben superiori ai tetti di spesa, ottenute da laboratori e strutture accreditate, che risultavano essere proprietà dei boss e dei loro prestanome.

Rilevante è la figura di Domenico Crea, medico-politico vicino ai boss della Locride, arrestato nel corso dell’inchiesta “Onorata Sanità”, e che subentrando in veste di consigliere regionale al posto Fortugno, mise in atto “un vero e proprio sistema fatto di pressioni, relazioni, favori, attuato insieme al figlio Antonio, al fine di ottenere le autorizzazioni necessarie all’accreditamento della sua struttura”, come sostiene il gip che si occupa dell’inchiesta.

27 luglio 2010

http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/calabria-locri-fortugno-ndrangheta-sanita-carmelina-madaffari-486767/
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